"Su Fazio e Bankitalia solo veleni"

Scritto il 23/11/2025
da Angelo De Mattia

Duro attacco dell’ex direttore centrale De Mattia sui resoconti dell’ex direttore generale. "Dallo scritto emerge un incomprensibile tardivo rancore. Si resta increduli su alcuni apprezzamenti tanto da pensare di avere di fronte una controfigura"

Con una recente pubblicazione «Vi racconto la Banca d'Italia», Salvatore Rossi presenta diversi aspetti di particolare interesse della vita e della storia dell'Istituto Centrale conditi con riferimenti autobiografici. È il racconto di chi ha percorso tutta la carriera nella Banca fino ad arrivare al grado di direttore generale. È scritto in una forma piana, con una sua efficacia. Si legge d'un fiato. Ma vi è una parte del racconto assolutamente sorprendente e fuorviante. È quando tratta del governatorato di Antonio Fazio e il racconto assume la veste di un libello. Nella narrazione di Rossi, Fazio viene chiamato alla carica apicale (1993) quando nel Direttorio di Palazzo Koch fino ad allora gli si riconosceva solo un inventato diritto di veto sulle piccole banche; si ritira ad Alvito e scrive di suo pugno le sue prime Considerazioni Finali; invece di un esterno, che avrebbe voluto il governo, propone la nomina a direttore generale del vice direttore generale Vincenzo Desario; effettua una manovra restrittiva di politica monetaria in rotta di collisione con il governo agli inizi del suo mandato. Comportamenti positivi e giudizi negativi. Con Fazio, afferma Rossi, la Banca d'Italia si era allontanata dalla sua storia e si era isolata dal novero delle banche centrali, perdendo peso anche nel mondo. Una Banca d'Italia afona, secondo lui, che rifiutava la modernità e che subiva duri colpi alla sua reputazione.

Vi sono altre gravi censure, ma quelle testé indicate e altre ancora sono prossime a insulti a posteriori, più che ad un esame obiettivo sine ira ac studio che si impone a chi scrive, a maggior ragione se si sono ricoperti incarichi di vertice, e se non si sono mai espresse contestazioni nei confronti della persona giudicata durante il servizio. Soprattutto quando Fazio non ricopre alcun incarico da venti anni (peraltro, molti ricordano gli elogi alati di Rossi manifestati al governatore dopo l'incidente della mancata consegna del tapiro). Ma soprattutto si sbatte contro la verità e si scrivono pagine che trasudano di velenose critiche descrivendo una Banca allora isolata, che non parlava, quando, all'opposto, era costante la sua presenza sui mezzi di comunicazione e veniva accusata di parlare troppo; quando si accusa Fazio di atti di autonomia, nella politica monetaria o nella scelta dell'alta dirigenza interna, quando questa è stata la cifra costante dell'Istituto per oltre un secolo in nome della sua indipendenza; ma anche quando si glissa sui non comuni requisiti che furono valutati per la nomina di Fazio a governatore o si dirige una critica al vertice dell'Istituto senza precisazione alcuna, così includendo pure altre personalità di grande competenza e autonomia intellettuale.

Tutto ciò induce a leggere nello scritto un incomprensibile tardivo rancore. Si ricordino, invece, i giudizi della stampa di quegli anni: Fazio indicato come governatore

dell'anno, Fazio che negli Anni Novanta promuove la più rilevante riorganizzazione bancaria dopo quella degli Anni Trenta e che è considerato impareggiabile per la conduzione della politica monetaria, Fazio che viene sollecitato ad assumere la presidenza del Consiglio succedendo a Massimo D'Alema. Vi è di più, le aspre e infondate critiche a Fazio, a un certo punto estendendosi al vertice indistinto, come si è detto, in un conato di superomismo degno di miglior causa, hanno trovato decisamente increduli molti dirigenti di quel tempo i quali hanno pensato che si tratti di una controfigura del Rossi conosciuto a Palazzo Koch.

Quanto infine, alle vicende giudiziarie che riguardarono Fazio e la Banca, proprio per la contraddittorietà dei rispettivi esiti, si è confermata la divaricazione tra verità processuale e verità storica: un argomento su cui si può tornare estesamente. Il libro, però, quando parla di Mario Draghi, usa parole - messe in bocca allo stesso Rossi allora in servizio - come «taumaturgo», «di ieratica semplicità», «del rifulgere di luce nuova». Qualsiasi commento sarebbe troppo.