Nel Veneto dell’autonomia e dell’identità, la corsa elettorale assume un significato quasi simbolico: il centrodestra cerca di preservare il suo dominio, mentre il centrosinistra prova a entrare nella roccaforte guidata finora dalla Lega. La scelta del candidato della maggioranza è ricaduta sul giovane Alberto Stefani, erede politico di Luca Zaia, che da super favorito punta a consolidare un modello di governo che molti elettori ritengono l’unico in grado di garantire stabilità e crescita. Di fronte a lui, Giovanni Manildo – uomo del Pd e dell’alleanza progressista – propone un’alternativa che rischia di essere lontana dall’approccio pragmatico che ha guidato la Regione negli anni.
Stefani e il peso dell'eredità di Zaia
33 anni compiuti il 16 novembre, Stefani ha un curriculum già importante: deputato leghista, vicesegretario federale del partito e segretario regionale della Liga Veneta. Insomma, è il simbolo di una continuità generazionale ma anche politica con Luca Zaia. Incarna l’idea di una Giunta capace di mettere “le persone prima dei partiti” e di continuare la linea amministrativa degli ultimi anni, senza sconvolgimenti ma con pragmatismo. Può contare sul sostegno del centrodestra unito: Fratelli d'Italia, Lega, Forza Italia, Noi Moderati, Unione di centro e Liga Veneta.
Il suo è un messaggio costruito sulla credibilità delle priorità: sicurezza, autonomia, investimenti per le imprese locali, efficienza burocratica. Piuttosto che promettere rivoluzioni, Stefani mette sul piatto la concretezza di chi ha già fatto esperienza nella Lega e conosce i meccanismi regionali. Per il centrodestra, la sua candidatura rappresenta una possibilità di confermare la leadership senza cadere nella presunzione: un ragazzo “di casa”, ma con visione.
La strada tutta in salita per Manildo
La candidatura di Manildo sembra un tentativo di limitare il distacco piuttosto che di competere davvero per la guida della Regione. Ex sindaco di Treviso, avvocato dai modi pacati, prova a incarnare un moderatismo progressista che nelle intenzioni dovrebbe rassicurare gli elettori più centristi. Il problema è che il suo messaggio fatica a entrare davvero nel cuore del Veneto reale, quello delle imprese, delle autonomie comunali, delle famiglie che chiedono risposte immediate e non formule astratte. D'altronde, è sostenuto dall'ammucchiata rossa piena di contraddizioni: Partito democratico, Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi-Sinistra italiana, Uniti per Manildo, Volt Europa, Le civiche venete e Pace salute lavoro (Rifondazione Partito comunista).
Pur provando a distanziarsi dai toni ideologici della sinistra radicale, Manildo fa difficoltà a imprimere una svolta narrativa alla sua candidatura. Emerge spesso una critica alla gestione precedente, ma lo sforzo di tracciare un’alternativa concreta resta incompiuto. In un Veneto che si riconosce nella stabilità e nel pragmatismo, parlare di cambiamento senza indicare come raggiungerlo rischia di diventare un esercizio retorico.
Il "fattore Rizzo"
La presenza di Marco Rizzo aggiunge un elemento di colore politico, ma non di competitività. La proposta radicale di Democrazia sovrana popolare, fondata su una critica dura ai due poli, rischia di intercettare una fascia minima dell’elettorato. Una rottura totale che in Veneto potrebbe trovare poco terreno fertile. Nella logica di un voto già sostanzialmente orientato, la sua potrebbe essere una candidatura di testimonianza destinata a restare ai margini.
L'ex leghista Szumski in campo
Medico accusato di essere vicino ai "no vax", sindaco a Santa Lucia di Piave, ex leghista, Riccardo Szumski si presenta con la lista Resistere Veneto. Porta avanti una linea di critica radicale verso le istituzioni regionali e nazionali. Il suo linguaggio è diretto, spesso graffiante, e punta chiaramente a intercettare un elettorato deluso, insofferente verso i partiti tradizionali. Ma al di là della capacità di attirare attenzione nei dibattiti pubblici, la sua proposta politica fatica a trasformarsi in un progetto di governo credibile. Il suo messaggio resta confinato sulla fascia del dissenso puro, quella minoranza che protesta molto ma incide poco.
Bui imbocca la via del civismo
Dopo una vita da amministratore locale e con alle spalle la presidenza della Provincia di Padova, Fabio Bui corre con Popolari per il Veneto, un polo civico alternativo ai due schieramenti principali. Una figura istituzionale, radicata nei territori, che punta a catalizzare quel voto moderato che non si riconosce né nel progressismo del Pd né nella continuità del centrodestra. Ma la sua corsa si è rivelata fin dall’inizio più fragile del previsto. Nel tentativo di proporsi come garante della “buona amministrazione”, Bui ha finito spesso per ripetere concetti generici: più efficienza, più ascolto, più vicinanza. La retorica non sempre viene premiata.

