Le parole di Fabio Fazio alla notizia della morte di Ornella Vanoni sono le più giuste che si possano dire quando muore una persona importante: "Non sono in grado di dire niente" ha detto. "Sono senza parole e non ero pronto a tutto questo. Non mi pare possibile. Non riesco a dire proprio niente".
Anche Fazio sa, come il sottoscritto, che da questo silenzio occorrerà trarre qualche parola, voglio dire qualche parola per noi stessi, non discorsi, non dichiarazioni, ma qualcosa di più profondo, perché la parola è anche giustizia.
Su questo grandissimo personaggio, che ci ha lasciato, si possono scrivere libri. Ma quali libri? Non sarebbe certo giustizia usare l'occasione della scomparsa di questa protagonista per esibire la solita sociologia d'accatto con la solita Milano degli anni Sessanta e Settanta e ridurre Ornella Vanoni a una delle tante emanazioni di un "mondo" che non esiste più, ma che è stato tanto bello.
Per chi, come me, ha passato l'infanzia e l'adolescenza in provincia, Ornella Vanoni era prima di tutto una cantante, "la" cantante, insieme a Mina. L'Italia, uscendo piano piano dall'incubo della guerra, era diventata un paese di voci, ogni voce aveva la sua storia, i suoi racconti, il suo paesaggio. Milva era di Goro, Iva Zanicchi è di Ligonchio, Caterina Caselli di Sassuolo, Gianni Morandi di Bologna, Massimo Ranieri di Napoli, e così via. L'Italia era una sommatoria di provenienze, di accenti, di costumi, e confluiva in quelle voci.
Ornella e Mina sono qualcosa di più. Mina reinventava tutta la canzone italiana con una spregiudicatezza mai più uguagliata, la sua voce portava in casa nostra echi universali: Ella Fitzgerald, Barbra Streisand, Elis Regina. Un altro modo di cantare, di avvicinarsi al pentagramma.
Ornella, milanesissima, andava oltre, portando la canzone nel teatro e il teatro nella canzone. Cantando recitava, alludeva, ammiccava, diventava il destino e il personaggio che la canzone disegnava.
La sua Milano non aveva niente della "vecchia" Milano popolare, che sospetto non sia mai esistita. Già prima degli Anni Sessanta Milano era in subbuglio, c'erano artisti come Lucio Fontana e Piero Manzoni, c'erano i maestri del design, una scuola di architettura straordinaria, che indusse un industriale della gomma a commissionare a uno di questi architetti il grattacielo più bello del mondo. Ma cento libri non basterebbero.
A sua volta, questa Milano vertiginosa recuperava, dopo le tristi storie di guerra, movimenti storici come il futurismo, senza dimenticare i suoi poeti e scrittori, un nome su tutti: l'ing. Carlo Emilio Gadda.
Tutto questo per dire che la "Milano di allora" non esiste, è un concetto di comodo: negli anni Cinquanta, come nei Sessanta e nei Settanta, essere di Milano, lavorare a Milano, significava dover fare qualcosa di nuovo.
Ornella fu questa novità nata su altre novità precedenti. Milano esiste se la reinventi. Non bastava più la Fracci, o il Quartetto Cetra. Ed ecco questa ragazza bella, molto sexy, molto intelligente, che già al tempo della notorietà come cantante stringe un sodalizio con Giorgio Strehler, artista ma anche uomo d'azione, anche lui impegnato a porre nella città della Scala un segno di rottura: il Piccolo Teatro. Come tutti, sa di farsi dei nemici, ma Milano è così: coraggiosa, parziale, provocatoria, spesso divisiva. E Ornella è lì.
È anche il tempo di cantautori, di cui Ornella è amica. Con loro, si convince che fare musica non è solo intrattenimento: è cultura, è edificazione di un pensiero. A Milano operano uomini come Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Giovanni Testori, Dario Fo. Il clima politico si riscalda, la canzone cerca ponti con altre culture sulle barricate, come quella brasiliana. Artisti brasiliani vivono in esilio e transitano in Italia (primo fra tutti Chico Buarque), echi tropicalisti - il movimento sorto in opposizione al regime militare - vengono catturati dalla voce di Ornella, e così noi cominciammo a capire che Brasile non è solo samba e Joie de vivre ma anche tragedia, è anche Caetano Veloso, Vinicius de Moraes.
Insomma, Ornella Vanoni è stata una figura centrale della cultura milanese - tenendo ben presente cosa significa questo per l'Italia. Non solo cantante splendida, non solo magnifica attrice, madre di un modello attorale che ritroviamo in altre grandi attrici, come Sonia Bergamasco.
Ma il discorso si potrebbe protrarre molto a lungo, e per ogni nome che cito vedo crescere la lista di quelli omessi. Come detto, la Milano di Ornella non è la Milano "di allora". Rimpiangere è falsificare, dunque, per favore: mai, mai, mai rimpiangere.
Quello che fa specie è questa nostra lamentosa mania di contrapporre i fasti di allora con i tempi grami che stiamo attraversando. Ma i tempi sono sempre stati grami, i problemi c'erano allora come adesso, e se la situazione è cambiata (e parecchio) non è detto che non ci siano fermenti nuovi, e importanti. Bisogna solo saperli guardare: giornalisti, assessori, addetti alla cultura, filosofi, sociologi abbandonino almeno in parte le loro rendite di posizione e guardino il nuovo che continua a nascere, aiutandoci a distinguere il grano dalla pula.
Se poi questo nuovo crescerà, ciò dipenderà anche da loro, dalla loro attenzione, dalla felice spregiudicatezza che avranno saputo imparare da persone come Ornella Vanoni.

