Il viaggio dissacrante di Dossena nell'Italia dei capolavori nascosti

Scritto il 23/11/2025
da Alessandro Gnocchi

Il cremonese Giampaolo Dossena (1930-2009) è stato uno degli intellettuali più originali del dopoguerra. Allievo di Lanfranco Caretti, autore di un'esemplare edizione critica della Vita di Alfieri, redattore nel mondo editoriale non solo milanese, giornalista, esperto di giochi e supremo divulgatore. La sua Storia confidenziale della letteratura italiana è un lavoro oggi inconcepibile. Dossena faceva sorridere e intratteneva il lettore ma aveva una profonda cultura di livello accademico (l'accademia di un tempo, dove c'erano pesi massimi come Caretti). I libri di Dossena sono impeccabili e divertenti. Oggi questo tipo di saggistica è diventata approssimativa e saccente, spazzatura sempre, neppure ben confezionata talvolta.

Dossena ha prodotto un altro capolavoro di erudizione non fine a se stessa e serissimo divertimento: Luoghi letterari. Paesaggi, opere e personaggi ora riportata in libreria dalla benemerita Luni editrice. Il volumone (780 pagine) si presenta come una semplice guida dei luoghi letterari italiani in ordine alfabetico. Ma qui entra in campo l'incredibile cultura di Dossena che va a cercare i grandi libri e i grandi autori nei luoghi più impensabili. E anche quando ci conduce nelle città principali, lo fa con un occhio del tutto estravagante rispetto al piattume oggi imperante. Luoghi letterari è opera personale, con scelte nette. Ecco qualche esempio, scelto assecondando il gusto personale di chi scrive.

CREMONA La città di Dossena che sfodera uno dei capolavori dimenticati del Novecento, Autobiografie della leggera di Danilo Montaldi, testo amatissimo, tra gli altri, da Pier Paolo Pasolini che ne capì subito la portata poetica. Montaldi, originale figura di militante di estrema sinistra alieno da ogni simpatia per il Partito, raccoglie le testimonianze della leggera ovvero la piccola criminalità che si muoveva lungo il Po da Cremona al delta e da lì a Venezia. Prostitute, galeotti, contrabbandieri lasciano la loro testimonianza a Montaldi munito di registratore. Ma l'autore non si limita a sbobinare: in realtà reinventa la lingua della leggera, un gergo complesso, sovradialettale. Risultato: straordinario.

ALBA La città di Beppe Fenoglio, ritratto con due sapienti pennellate: "Fa in Alba ottime scuole, studia molto l'inglese, se c'è qualcosa che vorrebbe, ecco: essere un soldato dell'esercito di Cromwell, con la Bibbia nel tascapane e il fucile a tracolla. Prova ad andare a Torino, all'università, ma non si laurea e arriva la guerra. Al corso allievi ufficiali, a Roma, capisce ancor meglio l'abisso che corre tra lui, soldato di Cromwell, e questa Italia fascista di strapaese". Segue disamina del paradosso che perseguita Fenoglio: passa tutta la vita in provincia, non ha niente di provinciale, i suoi libri vengono massacrati dall'editing di Vittorini che vorrebbe sprovincializzare l'Italia con la collana dei Gettoni Einaudi. Conclusione: "Provinciale è chi vuole sprovincializzarsi, volontaristicamente, velleitariamente". Conclusione numero due: "Fenoglio aveva una faccia da uomo, avrebbe potuto dare dei consigli, se qualcuno glieli avesse chiesti".

FERRARA Dalle parole del figlio Virginio Ariosto, veniamo a sapere, tra le altre cose, che papà Ludovico, l'autore dell'Orlando furioso, morì di malasanità: "Soffriva di una ostruzione alla vescica, alla quale volendo i medici Bonaccioli, Manardo e Canani, i primi di Ferrara, con acque aperitive porger rimedio, gli guastarono lo stomaco: e soccorrendosi con altre medicine a quest'altra indisposizione cadde".

TRIESTE Nel giustamente lunghissimo capitolo dedicato a Trieste spicca l'ironia di Dossena quando inizia a raccontare di Roberto Bazlen (1902-1965) detto Bobi: "Chi l'ha conosciuto ne parla ancora quasi tutti i giorni, come dell'uomo più intelligente che abbia circolato in Italia negli ultimi tempi. Essendo intelligentissimo, ed essendo persona molto colta (consulente editoriale della casa Einaudi, 1951-62, e della casa Adelphi, 1962-65) scriveva pochissimo". E di solito in tedesco.

MILANO Vista in modo esilarante dagli occhi di Ugo Foscolo, che aveva abitato a un tiro di schioppo da Porta Venezia prima di trasferirsi a un tiro di schioppo da Brera. Foscolo odiava Milano e i milanesi "beati animali bipedi" sempre intenti a "marmottescamente dormire, o più bestialmente ancora tracannare, ingoiare, sbadigliare, e tornare a tracannare; davvero sono stomachi meravigliosi; l'anima che negli altri uomini, a quanto pare, distribuisce la sua divina spiritualità al cervello, ai sensi, a tutte le membra, e più vivamente al cuore, qui ne' buoni lombardi si concentra tutta quanta ad aiutare le fatiche dello stomaco". Chissà cosa avrebbe detto davanti alle patatine toccaticce e rancide degli happy hour.

TORINO Qui Dossena va a caccia del più clamoroso autogol letterario. Leggete cosa scrive Guido Gozzano nella poesia Torino: "Tu (Torino, ndr) mi hai visto nascere, indulgesti ai sogni del fanciullo trasognato: tutto me stesso, tutto il mio passato, i miei ricordi più teneri e mesti dormono in te, sepolti come vesti sepolte in un armadio canforato". Esatto, avete letto bene: "armadio canforato". Praticamente una stroncatura selvaggia della città.

LONGONE AL SEGRINO È nella Brianza comasca ed è la Capitale del Gaddismo, religione di una parte cospicua della critica letteraria. Ci mettiamo tra gli indegni fedeli di Carlo Emilio Gadda e certi di evangelizzare diamo un consiglio non richiesto. Chi non l'ha studiata a memoria può correre a leggere la famosa pagina della Cognizione del dolore, quella, sublime, che parte così: "Di ville, di ville!; di villette otto locali doppi servissi...". Per Gadda, la Brianza era simile al Sudamerica immaginario. Forse prima della profanazione edilizia.

BERCETO Quando non c'era ancora l'autostrada, si doveva imboccare la paurosa statale della Cisa. Qui Luigi Malerba ha ambientato un romanzo, La scoperta dell'alfabeto, che contiene una toponomastica a prima vista bizzarra in cui spicca il Rio Merdoso. Satira, sarcasmo, ironia? No, il Rio Merdoso esiste. E ha pure un discreto pedigree letterario. Piero Chiara, altro geniaccio, per primo ha sottolineato una certa qualità della toponomastica lombardo-settentrionale: Cacavero, Cagamei, Cagaroeula, Merdarola, Merdaro, Smerdaro. Bonvesin de la Riva, poeta medievale, ribattezzò "Merdarius" il Lambro. Italo Calvino, nel Barone rampante fa scorrere il Merdanzio. Quasi tutti questi toponimi sono stati cancellati nel corso dei decenni e sostituiti da toponimi verdi: Merdago è diventato Verdago, per dire.