"Amori e canzoni ma conosco il buio della depressione"

Scritto il 23/11/2025
da Alessandro Gnocchi

Una sera di giugno alla Milanesiana La cantante si confessa (e canta)

Giovedì 12 giugno 2025 ho avuto il piacere di intervistare Ornella Vanoni e Pacifico nell'ambito della Milanesiana, la rassegna culturale ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi. Eravamo allo Spazio Volvo di Milano, straripante di gente. Il giorno prima la Vanoni aveva ricevuto la laurea honoris causa dell'università statale di Milano in Musica, Culture, Media, Performance. La conversazione però fu sul libro Vincente o perdente scritto dalla Vanoni con Pacifico ed edito dalla Nave di Teseo. Questa è la trascrizione di una piccola parte della serata, che ha visto anche l'esibizione della Vanoni. Chi volesse l'integrale, lo può trovare su Youtube.

Lei è uno dei simboli di Milano, la sua carriera è iniziata al Teatro Piccolo, ma in che modo?

"Tornavo dall'estero, ero stata 6-7 anni via, arrivavo da Londra. Non sapevo cosa fare. Unica cosa certa, non cercavo un marito. E allora mi iscrivo alla scuola del Piccolo, senza sacro fuoco, senza passione. L'audizione fu un disastro. L'emozione mi immobilizzava. In coda a ciò che ritenevo essere, a ragione, solo la conferma della mia inettitudine, si alzò questa voce nel buio: Attenzione! Qui c'è qualcosa".

Chi era?

"Era Sarah Ferrati, grande attrice, all'epoca uno dei membri della prestigiosissima commissione preposta agli esami di ammissione al Piccolo".

Poi conobbe Giorgio Strehler?

"Divenni la sua fidanzata, cosa che mise in subbuglio la buona società milanese, per via della differenza d'età soprattutto, io ero ventenne, era il 1953. Lui era del 1921 ed era sposato".

Mi ha stupito leggere che lei ha avuto paura del palco per anni.

"Ero insicura, avevo paura, stavo così male ogni volta, che mi sono disprezzata. Poi un bel giorno, ho capito che non ero male. Strehler mi disse che avevo il talento ma non il carattere, e che non potevo salire sul palco. Mai dirmi questa cosa non la puoi fare, io la faccio".

Anche Strehler però aveva le sue insicurezze o sbaglio?

"Verso la fine delle prime, a teatro, si chiudeva in un bagno. Paolo Grassi mi diceva: Signorina, le spiace andare giù a prendere quel cretino e dirgli che lo spettacolo è un successo?. Però anche in questo c'era qualcosa di teatrale, con lui era sempre così. Come accadde con Von Karajan".

Cosa è successo?

"Strehler aveva un problema, non amava le personalità troppo forti. Amava lavorare con i suoi attori, poteva plasmarli e otteneva risultati incredibili".

Herbert von Karajan non era malleabile?

"Giorgio non gli voleva rispondere. Se aveva il sospetto che fosse lui, mandava me al telefono. Io conosco il tedesco per cui intrattenevo un po' il Maestro, poi chiedevo scusa, Giorgio proprio non arrivava, e mettevo giù".

Ma chiamava spesso?

"Lavorarono insieme per un anno e mezzo. A un certo punto mi scocciai e smisi di rispondere".

Vi amavate?

"Adoravo Giorgio, era una persona, a parte geniale, ma di una dolcezza infinita, era un uomo molto, molto, molto carino".

Invece come andarono le cose con Gino Paoli?

"È stato un grande amore e anche un grande sodalizio artistico. Ci sentiamo spesso, siamo rimasti amici. Solo che è sordo".

Sordo?

"L'ho chiamato proprio ieri. Continuava a rispondere: Eh? Come?. È sordo. O fa finta di essere sordo. Non lo so".

Mi scusi, però se fa finta di essere sordo è un genio.

"Si sa che è un genio, ma se fa anche finta di essere sordo... Un po' sordino lo è, però non so quanto. Mi sembra esagerato che non capisca un tubo".

Ne parla con dolcezza.

"Io sono una sopravvissuta, assieme a Gino, siamo due sopravvissuti, abbiamo perso tutti gli amici, tutti, siamo rimasti noi due. Lui probabilmente sordo".

Giorgio Gaber è stato un suo amico, perché non avete mai lavorato insieme?

"Caro Giorgio. Quando mi torna in mente, mi ascolto mormorare: Caro, caro, caro Aveva poi un dono raro e grandissimo: sapeva essere fermo, limpido, feroce nella critica. Ma mai offensivo. Il bersaglio e spesso il bersaglio era più a sinistra che a destra si sentiva spogliato, preso in pieno. Ma non ridicolizzato".

Però una canzone non gliela scrisse...

"Gli chiedevo: Giorgio, ma quando la scrivi una canzone per me? Ma no, Ornella, non ti ci vedo a cantare testi gramsciani".

Di recente però ha collaborato con artisti della nuova generazione. Chi le piace?

"Ho duettato con Mahmood. È stato bellissimo perché tra di noi c'era una tenerezza infinita dovuta alla differenza d'età. Ha funzionato perché la gente non è abituata alla tenerezza. Quando i cantanti duettano sembra che si sfidino a fare la nota più alta. Invece lì c'era una grande dolcezza".

Si è mai sentita sola o perduta?

"Sì, molte volte, soprattutto all'inizio, ero proprio sola, cioè non avevo un produttore, viaggiavo con un autista con cui non avevo niente da dire, sono stati momenti molto difficili, sì".

In quei momenti nasce davvero l'ispirazione?

"No, per quel che mi riguarda è falso. Io non avevo nessuna ispirazione in quel momento, ero solo triste".

Lei parla con grande libertà dei farmaci antidepressivi, non è una cosa comune. Perché?

"Continuo a parlarne, perché io ho sofferto molto di depressione, una volta ebbi un attacco così pesante che mi ricoverai. Io li prendo sempre, perché so che dentro di me c'è questa cosa che può scattare. Un conto è se una persona vive un momento difficile, come un lutto, ma transitorio. Allora può smettere. Ma i depressi, no, non possono: è meglio curarsi".